«La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5): è quanto abbiamo ascoltato oggi dalla lettera di san Paolo ai Romani e che oggi sentiamo quasi ripetercelo dalla sua viva voce mentre, accanto alla sua tomba, celebriamo la Santa Eucaristia.
La speranza non delude... Sono parole che papa Francesco ha ripreso all'inizio della Bolla di indizione dell’Anno Giubilare che stiamo vivendo. Egli ci ricordava che, come già alla comunità cristiana della Roma del suo tempo, anche a noi l’Apostolo vuole infondere coraggio. A nostra volta, corrispondendo a questo invito, tutti noi ci impegniamo a farci testimoni dell'amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato».
Chiediamo, dunque, a san Paolo «di saper coltivare e diffondere la sua carità, facendoci prossimi gli uni per gli altri, nella stessa gara di affetti che, dall’incontro con Cristo, ha spinto l’antico persecutore a farsi tutto a tutti, fino al martirio». Sono parole, queste, pronunciate qui il 20 maggio scorso dal nuovo Papa Leone XIV, al quale rivolgiamo il nostro filiale pensiero, grati per avere, tra i primi atti del suo ministero petrino, firmato il decreto per la beatificazione di Floribert Bwana Chui.
Anche in questo giovane, come in san Paolo e nell’innumerevole schiera dei martiri che giunge sino ai nostri giorni, si rivela la potenza della fede in Dio che giustifica (cf. Rm 5,1-5).
Celebrando, poi, la festa della Trinità, mi tornano alla memoria alcune riflessioni di Benedetto XVI quando, già Papa emerito e meditando su questo mistero, diceva che in esso troviamo il senso della vera unità che è amore: «E l’amore implica sempre un io, un tu e un noi, e proprio così è la perfetta unità, la più profonda, reale, unica, la più radicale unità. L’unità di Dio non è quella di un atomo, di una minima quantità invisibile, ma è la più grande unità, è l’unità creata dall’amore... E così si applica anche a noi: perché Dio è amore, può amare anche noi piccoli e noi possiamo amare Dio» (Il silenzio ci tiene per mano, LEV, Città del Vaticano 2025, p. 274).
Penso che in questa luce possiamo comprendere anche la testimonianza di Floribert, fedele laico della Chiesa di Goma e membro responsabile della Comunità di Sant’Egidio. Egli si è totalmente aperto all’amore che lo abbracciava al punto da lasciarsene plasmare nel profondo e farne la bussola che orientava le sue scelte. È quanto appare dalle testimonianze raccolte su di lui: in ogni occasione della vita, Dio era il suo riferimento. E che così fosse davvero, lo prova la copia della sua Bibbia, conservata a Roma, nel Santuario dei Nuovi Martiri a San Bartolomeo all’Isola, che mostra le tracce di una lettura costante.
È questa, del resto, la spiritualità che si vive nella Comunità di Sant’Egidio. Così la descrisse papa Francesco quando, ricorrendo il 50º di fondazione, l’11 marzo 2018, fece visita alla Comunità nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere. Disse: «Preghiera, poveri e pace: è il talento della Comunità, maturato in cinquant’anni». È proprio questo che Floribert ha scoperto ponendosi in ascolto della Parola di Dio, nella luce della preghiera: che «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Da qui nasce la sua attenzione ai poveri di Goma, in particolare ai più disprezzati e marginali, cioè i bambini di strada.
A questi bambini, sradicati e senza famiglia, egli voleva dare speranza e futuro, e anche per questo si impegnava con loro nella Scuola della Pace.
Cari fratelli e care sorelle, riascoltiamo ciò che diceva il nuovo beato: «Tutti hanno diritto alla pace nel cuore»! In un tempo segnato dalla guerra e dalla violenza, in cui tanti nella Repubblica Democratica del Congo e altrove cercano la pace, queste parole ci colpiscono più che mai. Se oggi, infatti, celebriamo qui a Roma la sua beatificazione, lo sapete, è perché purtroppo a Goma mancano le condizioni di sicurezza e tranquillità. Floribert, del resto, sperava di poter fare un pellegrinaggio a Roma. Questo suo desiderio – in qualche modo – si compie spiritualmente con l’odierna celebrazione.
Preghiera, poveri, pace. Il nostro Beato cercava tutto questo nel clima teso della sua città. Tra le testimonianze raccolte si legge che egli non voleva la guerra e che proprio con il suo impegno intendeva riunire i giovani di Goma come in una famiglia. Scelse perciò di condividere l’impegno di Sant’Egidio per la pace, perché – diceva – «mette tutti i popoli alla stessa tavola». Sognava di essere un uomo di pace e di poter così contribuire alla pace della sua terra, che amava tanto. Oggi, dunque, facciamo nostra la sua aspirazione a un Congo in pace, raccolto alla stessa tavola come una famiglia.
Preghiamo con fede per la pace, in comunione con la Chiesa che abita in tutta la Repubblica Democratica del Congo, qui significativamente rappresentata.
La tavola, oggi, per noi è l’altare liturgico, mensa della Parola e dell’Eucaristia, da cui il Signore ci parla e ci nutre (cf. Sacrosanctum Concilium, 56), evento che è «culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono a Cristo e per lui al Padre nello Spirito Santo» (Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum mysterium, 6). Attorno, dunque, a questa Mensa tutti noi apprendiamo, come Floribert, a non vivere più per noi stessi, ma per colui che è morto e risorto per noi (cf. 2Cor 5,15).
Per questo giovane uomo, giunse presto il momento della scelta: fu quando, con le minacce e le lusinghe della corruzione, gli fu chiesto di far passare alla dogana del cibo avariato che avrebbe avvelenato le tavole della gente di Goma. Egli, nutrito dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, si chiese: «Se faccio questo, sto vivendo in Cristo? Sto vivendo per Cristo?». «Come cristiano – così si rispose – non posso accettare di sacrificare la vita delle persone. È meglio morire che accettare questi soldi».
La scelta era decisiva; in quel momento drammatico, si trattava di scegliere tra il vivere per sé stessi e il vivere per Cristo. E questo ha un prezzo; è, anzi, un caro prezzo. È quella grazia di cui aveva scritto D. Bonhoeffer, anch’egli testimone di Cristo: «È il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va a vendere tutto ciò che ha, con gioia…» (Sequela, Queriniana, Brescia 1971, p. 23). Nel nostro contesto, la grazia a caro prezzo è la resistenza al male, fino in fondo, sino all’effusione del sangue.
Ecco il racconto che ne fece il 2 febbraio 2023, durante la sua visita apostolica nella Repubblica Democratica del Congo, papa Francesco:
«A soli ventisei anni, venne ucciso a Goma per aver bloccato il passaggio di generi alimentari deteriorati, che avrebbero danneggiato la salute della gente. Poteva lasciare andare, non lo avrebbero scoperto e ci avrebbe pure guadagnato. Ma, in quanto cristiano, pregò, pensò agli altri e scelse di essere onesto, dicendo no alla sporcizia della corruzione. Questo è mantenere le mani pulite, mentre le mani che trafficano soldi si sporcano di sangue. Se qualcuno ti allungherà una busta, ti prometterà favori e ricchezze, non cadere nella trappola, non farti ingannare, non lasciarti inghiottire dalla palude del male…»
Mi tornano alla memoria le parole del Vangelo: «Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?» (Mt 16,26). Considerando questa domanda, san Giovanni Crisostomo esclamava con forza: «Lascia perdere tutto il resto e volgi la tua attenzione alla salvezza della tua vita» (In Matth. Hom., 55,3: PG 58, 544). Sant’Ignazio di Antiochia aveva scritto: «Ci sono due monete, l’una di Dio e l’altra del mondo, e ciascuna di esse ha la propria impronta: quella di chi non crede ha l’impronta del mondo; quella di chi è fedele porta invece l’impronta dell’amore di Dio Padre mediante Gesù Cristo» (Magn., 5,2: Funk, Patres Apostolici, I, p. 232).
È ciò che ha fatto il beato Floribert: ha compreso che la propria anima… e anche la vita della sua gente erano infinitamente più preziose del denaro. Ed ecco che oggi, proprio grazie alla fedeltà della sua vita che lo ha condotto al martirio, la Chiesa lo indica come un testimone e lo propone come un maestro per noi tutti.
Lo è per tanti giovani africani, cui insegna a non lasciarsi vincere dal male, ma a vincere il male con il bene. È un maestro di speranza per loro – e non soltanto – perché nel suo umile esempio tanti giovani di tutto il mondo possono scoprire la forza del bene e il coraggio di fare il bene, resistendo alle lusinghe di una vita dominata dalla paura e dal denaro.
Per l’intercessione di questo nuovo Beato, il Signore doni ai giovani e a tutti i credenti della Chiesa in Congo, in particolare a Goma, nuova forza nel perseguire il bene, resistendo al male. Incoraggiata dal suo esempio, la Comunità di Sant’Egidio prosegua con libertà sulla triplice via della preghiera, dei poveri e della pace. A noi tutti il Signore doni la forza di custodire il messaggio del beato Floribert, nel cui cuore l’amore di Dio è stato riversato per mezzo dello Spirito Santo.
Basilica di San Paolo fuori le mura, 15 giugno 2025 – Solennità della SS. Trinità
Marcello Card. Semeraro