15 aprile 2025 - Santa Maria in Trastevere - Settimana Santa
Preghiera in memoria delle persone morte in carcere
Matteo 25, 31-40
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Cari amici,
nella passione di Gesù la vita e la morte si affrontano in un prodigioso duello. Lui, amico di noi peccatori e dei più feriti, combatte perché la vita fiorisca dove sembra dominare la morte. Gesù vuole strappare agli inferi e al tormento quelli che più soffrono, in loro si identifica pienamente.
Gesù, l’unico innocente, ha il volto del carcerato, spesso nudo, affamato, assetato, malato. Chiede di essere visitato e amato, scardinando ogni giudizio proprio dove lo stigma e la solitudine vorrebbero vincere e spegnere ogni speranza. Si confonde fra loro e ne abita l’umanità, perché ognuno è degno di amore e ognuno è degno di salvezza.
Al cuore della preghiera di questa sera sono 108 vite spezzate dalla disperazione, mentre almeno 2.262 sono state salvate in extremis da compagni di cella o da agenti. E questo è avvenuto da gennaio 2024 ad oggi. Altre 204 si sono spente nei luoghi di detenzione, dove troppo facilmente ogni fragilità si trasforma in patologia, amplificando il disagio e la sofferenza.
Queste vite, queste donne e questi uomini interrogano la nostra preghiera e chiedono che questa sera si accenda una luce pasquale di resurrezione, per chi ci ha lasciato e per tutti quelli che sono rimasti. Che conoscano e infine possano vivere la Pasqua. Gesù ce li restituisce come fratelli e come sorelle.
Le sue piaghe sono le loro piaghe, quelle del fisico, dell’anima, della mente che nell’abbandono diviene preda della divisione. 6mila sono le persone detenute nel nostro paese che hanno una diagnosi psichiatrica grave, e 15mila quelle che fanno uso di psicofarmaci.
Dio non tollera lo strapotere del male, per questo ha inviato suo figlio e per questo si fa trovare in carcere, perché anche da qui inizi la rivoluzione del Vangelo, e la sua compassione sia viva ovunque. Ecco il riscatto offerto da Gesù stesso, la conversione di tutti all’amore, la liberazione dal male, una giustizia misericordiosa, la protezione dei più deboli e a difesa della dignità di tutti. E il perdono, per chi se ne fa mendicante disperato, e non sa a chi chiederlo e come offrirlo.
Liberare i prigionieri e portare il lieto annunzio ai poveri è vita dei cristiani, perché è vita di Gesù. Quanto dolore, invece, quando la finestra sul domani appare sbarrata e chiusa per sempre. Quante madri ferite dalla lontananza dai figli o dalla propria famiglia o dal senso di colpa di non essere riuscite a proteggerli. Quanti giovani perduti sono un appello vivente perché la Chiesa, la società, si facciano madri e padri di chi non li ha più o in li ha mai avuti.
C’è chi, fra loro, ha vissuto il terrore dell’ingresso in carcere o, addirittura, il terrore della libertà, quando non c’è nessuno fuori ad aspettarti. E nell’abandono quante dipendenze letali riducono l’esistenza a niente.
I salmi danno parole a questi dolori: Non nascondermi il tuo volto nel giorno in cui sono nell’angoscia. Tendi verso di me l’orecchio quando ti invoco, presto rispondimi. Il salmo 102. E nella solitudine di una cella: Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti.
Altri ancora, adulti e anziani, potrebbero implorare che non avvenga più di dover morire in attesa di cure non sempre garantite. E ancora, nei Centri di Permanenza ed espulsione, quanti, sentendo di non avere futuro dopo aver attraversato Mediterraneo, deserti e montagne a rischio della vita, sono sprofondati nel senso della paura o nel senso di fallimento ultimo?
Ma quando Gesù entra a Gerusalemme, al suo seguito c’erano malati sanati, c’erano amici, c’erano persone liberate dai demoni. Gesù si era fatto loro prossimo e in lui avevano riconosciuto un amore che non li giudicava, che li separava dalla radice delle loro sofferenze, guarendoli e rendendoli capaci di bene. E molti ne sono divenuti discepoli. Gesù restituiva un senso alla vita. Sono i primi, nel loro bisogno, a rendere lode e sono i primi a cui è promesso il regno.
Quanta sorpresa nel vedere risorgere la speranza quando si è ascoltati e abbracciati, anche all’interno di una cella. E anche quando sei stato ferito dal male o hai ferito, Gesù ci aiuta a rialzarci. La mano di un amico, lo sguardo capace di cogliere l’abisso dell’anima e il pensiero dolente, sono un primo bagliore di vita che spezza il buio. Sono il primo passo di un cammino che Gesù vuole di liberazione piena e che deve e ha bisogno di proseguire.
La gratitudine che ci investe è sproporzione autentica rispetto alle briciole di amore che cadono dalla nostra tavola. Quella gratitudine si fa spesso preghiera che ci protegge. Oggi, coinvolti dall’alleanza di Gesù con ogni persona detenuta, preghiamo per chi è scomparso e per chi vive.
Che il Signore sostenga chi è nella prova, e ci aiuti ad affrancarlo dalle condanne senza appello, per essere insieme liberati dal male. E in questa Pasqua rinvigorire il nostro amore nell’audacia operosa e nella preghiera.
Fa’, o Signore, che ti incontriamo e ti amiamo. Tu che hai detto: Ogni volta che avete fatto una di queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me. Amen.
Don Marco Gnavi