Da oltre 40 anni Sandro Luciani è volontario tra le comunità Rom, Sinti e Camminanti. Ha cominciato da studente, con la Comunità di Sant'Egidio. E continua ancora oggi, dopo averne approfondito la conoscenza e aver stretto con loro un autentico rapporto di amicizia.
Potremmo definirlo un costruttore di ponti per la pace. Alessandro Luciani, per tutti Sandro, una vita come volontario tra i Rom, i Sinti e i Camminanti, è un membro storico della Comunità di Sant'Egidio. Da oltre 40 anni affianca le sue attività quotidiane - è guida professionista in alcune catacombe romane -, a un impegno civile verso il popolo Romani, fatto di ascolto, vicinanza e difesa della dignità umana. Negli anni si è occupato di sostegno all'istruzione, assistenza legale, mediazione culturale.
Lo incontriamo nella sede della Comunità a Trastevere. «Ho conosciuto i Rom e i Sinti a 20 anni, grazie all'impegno con la Sant'Egidio - racconta -. Un`esperienza che ha cambiato la mia vita e le mie idee su questo popolo. Ho scoperto persone molto diverse da quelle che conoscevo attraverso i commenti delle persone e le cronache sui giornali. Sono certo che se non avessi incontrato la Comunità e fatta mia la proposta di vivere il Vangelo, non solo nella preghiera, ma anche nell'impegno concreto a favore dei più bisognosi, non avrei mai conosciuto davvero i Rom e i Sinti. Probabilmente avrei nutrito anche io sentimenti di diffidenza e ostilità verso di loro».
Nel tempo, in effetti, Sandro ha sviluppato un interesse per il popolo Rom talmente forte da ispirare anche le sue scelte di vita: «Sono laureato in storia moderna con una tesi sui "Rom a Roma nel 1700" - conferma infatti -. Poi, dopo una breve esperienza di insegnamento in alcuni licei romani, ho studiato storia dell'arte e archeologia cristiana alla Lateranense. Ho ricevuto all'Università di Chieti-Vasto incarichi di ricerca sui Rom e Sinti in Europa, e collaborato su questi temi con l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) della Presidenza del Consiglio dei Ministri».
L'amicizia tra la Comunità di Sant'Egidio e il popolo Rom e Sinti in Italia è un'amicizia antica. «Il nostro incontro - sottolinea Luciani - risale agli inizi degli anni Ottanta, quando nei campi non andava quasi nessuno. Eravamo un gruppo di studenti che passavano gran parte dei loro pomeriggi negli insediamenti di fortuna delle famiglie Rom. Tra di loro c'era anche don Matteo Zuppi, un giovane prete esperto in umanità, oggi presidente della Cei e cardinale arcivescovo di Bologna».
Oggi questa amicizia è diffusa in tante città italiane, così come in altre città europee. «Penso - spiega ancora Sandro - al lavoro che fanno gli amici di Sant'Egidio a Barcellona e a Madrid con i bambini gitani di etnia Kalé, o all'opera di riconciliazione che fa la Comunità in Ungheria, soprattutto dopo l'attentato di Chisleta, nel 2009, quando furono uccisi diversi Rom da parte di una banda di simpatizzanti di un partito di estrema destra. E poi anche a Praga, Tirana, Parigi, Kiev. Si può dire che, in ogni luogo dove c'è Sant'Egidio, c'è un posto speciale per i Rom. Io stesso ho conosciuto Rom in tutta Europa, ma anche fuori. In Texas, a New York, in Uzbekistan. Un po' per motivi di studio, un po' perché li cerco ovunque mi trovi. In Terra Santa, a Gerusalemme, ho incontrato i Domari di lingua araba, in Argentina i Rom Kaldera, in Cile i Rom Khorakhanè. Questi ultimi, ricordo, erano sbalorditi dal fatto che parlassi la lingua dei loro antenati, musulmani di Bosnia».
Gli inizi, negli anni '80
Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quarant'anni fa: «Le famiglie Rom all'epoca vivevano in campi di fortuna alle periferie della Capitale, in roulotte o tende - ricorda il volontario -. All'inizio proponemmo un doposcuola pomeridiano vicino agli accampamenti, chiamato "Scuola della Pace", dove i bambini avevano la possibilità di imparare a leggere e a scrivere, giocare, parlare italiano, fare merenda, lavarsi, curare le piccole ferite. I genitori erano colpiti da questi giovani che non li disprezzavano ma, anzi, si prendevano cura dei loro figli. Poi iniziammo a proporre alle famiglie anche la scuola statale del mattino. Anzi, molte ci chiesero direttamente di iscrivere i bambini a scuola. Non sapevano di avere diritto all'istruzione. Quindi cominciammo a segnarli alla scuola pubblica, superando le resistenze di numerosi istituti scolastici».
All'epoca non esistevano campi istituzionali, e le famiglie venivano cacciate, sgomberate continuamente dalla polizia, diventando praticamente forzatamente nomadi. «E noi sempre appresso a loro - ricorda Luciani -. Iscrivevamo i bambini a scuola e, dopo una settimana, il campo non c'era più. E allora cominciavamo a cercarli, diventavamo dei detective, passando al setaccio i vari angoli di Roma dove potessero essersi spostati. Quando li ritrovavamo, mi ricordo, erano molto contenti. Ci dicevano: "Ma come avete fatto a trovarci?". Non c'erano i cellulari, quindi era anche difficile comunicare. E così ricominciavamo tutto da capo: cercavamo un'altra scuola, nuovi maestri alleati, un posto vicino dove ricreare la Scuola della Pace. Pensi che, per alcuni anni, abbiamo fatto scuola non solo nelle parrocchie, ma anche in luoghi assurdi, come ad esempio in alcuni autobus dell'ATAC dismessi, che si trovavano vicino al campo Rom di Tor Bella Monaca».
Sandro ricorda gli anni difficili vissuti dalle comunità Rom, quando i campi erano spontanei, privi di acqua, luce ed elettricità: «Vivevano in condizioni disumane», scaldandosi con improbabili stufe a legna e candele, e ogni inverno si ripetevano tragedie: bambini che morivano per il freddo o a causa di incendi. «Era una strage che gridava vendetta al cospetto di Dio», denuncia Luciani. Anche i soccorsi spesso non riuscivano ad arrivare: «Ricordo un'ambulanza bloccata dal fango, e noi costretti a portare la persona malata a braccia fino al mezzo».
Sandro Luciani prosegue il suo racconto sempre con tono pacato: «Un vecchio proverbio dice: "Ovunque vai, i Rom trovi". Ed è così: in Italia, i Rom, i Sinti e i Camminanti sono presenti da almeno sei secoli, come attesta un documento del 1422, ma, nonostante questa lunga permanenza, non sono ancora riconosciuti come minoranza etnica e linguistica nel nostro Paese».
Eternamente stranieri
Uno dei principali problemi legati alla loro condizione è la mancanza di dati certi sulla loro presenza e sulle loro condizioni di vita, un fenomeno comune anche nel resto d'Europa. «Secondo il Consiglio d'Europa - ci informa Luciani -, in Italia vivrebbero tra i 110 mila e i 170 mila Rom, 70 mila circa dei quali con cittadinanza italiana. Si tratta di una popolazione giovane: oltre la metà ha meno di 18 anni».
Un'espressione molto calzante definisce i Rom un «popolo eternamente straniero», spesso vittima di stereotipi, discriminazioni e antiziganismo. «E non dobbiamo dimenticare - chiosa Sandro - che Rom e Sinti furono tra le vittime dell'Olocausto: oltre 500mila persone morirono nel genocidio nazista conosciuto come Samudaripen».
È stato il tempo a svelare a Luciani la ricchezza e la varietà del mondo Rom, spesso ridotto a un'immagine stereotipata: «Ho costruito con le comunità un rapporto autentico, fatto di rispetto, condivisione e ascolto. Ho vissuto con loro momenti di gioia e di dolore, aiutando in situazioni concrete come la ricerca di casa, lavoro e documenti. Molti giovani Rom oggi vogliono essere parte attiva della società, studiare, lavorare e fare volontariato».
Attraverso questo impegno, i Rom sono entrati a far parte della famiglia di Sant'Egidio, avvicinandosi così anche alla società italiana. Il lavoro però continua, con l'ascolto e l'impegno concreto su casa, lavoro, istruzione e documenti.
Prima di salutarlo, chiedo però a Sandro Luciani qual è l'aspetto fondamentale che gli ha consentito di stringere questi rapporti di amicizia: «Considerarli persone come noi, evitando sia il disprezzo sia una visione idealizzata che giustifica ogni difficoltà come "culturale". Noi insistiamo molto sulla scuola. Non per assimilare la cultura Romani a quella maggioritaria, ma per garantire a tutti - pur nella diversità - la possibilità di vivere in pace e accedere alle stesse opportunità».
[ Antonio Tiso ]