Nel discorso di Leone agli ambasciatori lo storico Adriano Roccucci vede una Santa Sede che si conferma come soggetto di mediazione nei conflitti.
La strada di papa Leone parte tra letture schierate. Del suo primo discorso agli ambasciatori accreditati in Vaticano, i media hanno rilanciato solo il riferimento alla famiglia «fondata sull'unione stabile tra uomo e donna». Ma Leone si è rivolto ai diplomatici stessi come rappresentanti dell'«intera famiglia dei popoli», rivolgendo loro un appello accorato in un momento in cui la soluzione militare sembra essere tornata l'unica chiave per risolvere le contese. «Mentre la Santa Sede ha fatto da tempo la scelta di investire sulla via negoziale anche quando sembra andare contro l'orientamento prevalente», spiega Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea all'Università Roma 3.
«Papa Francesco è stato instancabile nelle sue richieste di risolvere attraverso il dialogo quei conflitti che sono parte di una "terza guerra mondiale a pezzi". Papa Leone ha ripreso questo impegno».
Qual è il ruolo specifico della comunità diplomatica presso il Vaticano?
«Tessere i fili che tengono insieme quella "famiglia umana" che non può che essere unita, mentre tante volte è sottoposta a spinte di frammentazione che sfociano in guerre sanguinose. Questa attenzione ad avere rapporti ufficiali con numerosi Paesi e a mantenere relazioni anche con quelli con cui non ci sono ancora rapporti diplomatici, evidenzia un servizio non solo di sostegno alle Chiese locali, ma al bene comune, che ha anzitutto il nome di "pace"».
Per questo il Papa ha fatto subito riferimento al ruolo delle religioni?
«Il dialogo interreligioso mette in connessione delle energie spirituali ideali, obiettivi comuni, energie di pace - necessarie per attraversare questo cambiamento d'epoca segnato da profonde crisi e dall'incertezza sugli orizzonti futuri. È una risorsa importante proprio per ricostruire i fili dell'unità della famiglia umana».
Tra le sue richieste, ridare respiro alla diplomazia multilaterale e rilanciare le istituzioni internazionali. A cosa si riferisce?
«La diplomazia multilaterale è stata un principio dell'architettura dell'ordine internazionale disegnato dopo le due guerre mondiali del Novecento, in modo particolare con la costituzione dell'Organizzazione delle nazioni unite (Onu), che ha come obiettivo aiutare l'umanità a non ricadere nella tragica esperienza della guerra. Ma negli ultimi trent'anni è stata sovente indebolita, aggirata e trascurata. La Santa Sede investe sulla diplomazia multilaterale e su un rilancio dell'Onu per sanare la frammentazione».
Leone ha avvertito che dobbiamo maturare la nostra idea di pace in maniera attiva. Cosa significa?
«Fin dal suo esordio, Leone ci ha ricordato il fondamento evangelico della pace, perché solo cuori pacificati possono generare agenti e attori di pace. Ma non fugge le domande del nostro presente. Incontrando i partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali - che dal Medio Oriente all'Ucraina sono colpite dai conflitti - ha detto in maniera molto forte che impiegherà ogni sforzo negoziale perché si diffonda la pace. E ha aggiunto che la Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi. Perché i nemici sono persone con cui parlare, non cattivi da odiare, come grida la cultura della guerra. Se oggi la Santa Sede gode ancora di credibilità internazionale è proprio perché ha tenuto fermo l'orientamento per una politica e una diplomazia di pace. E questo grazie alla lucidità del pontificato di papa Francesco».
La diplomazia è spesso identificata con ambiguità mentre, ha detto Leone, la Chiesa deve usare un «linguaggio schietto». Che interventi si aspetta?
«Vedo un orientamento a non tacere nell'indicare ingiustizie, problemi e vie d'uscita dai conflitti. La postura della Chiesa è di denuncia, ma al tempo stesso non è una postura giustizialista o accusatoria. Papa Leone ci richiama alla verità sull'uomo e sul mondo che significa non conformarsi, anche per la diplomazia, ma saper suscitare percorsi di cambiamento. Questo ci lascia intuire un papato che non abdicherà all'essere voce profetica che parla guardando la realtà con gli occhi del Vangelo».
Leone si è autodefinito «discendente di immigrati, a sua volta emigrato». Tra le sfide del presente ha citato per prime le migrazioni. Proseguirà nella direzione di papa Francesco?
«Direi proprio di sì. Che ben due Pontefici recenti abbiano iscritto quest'esperienza nelle proprie radici familiari ci ricorda che le emigrazioni sono un tratto costante e caratteristico dell'età contemporanea. Le migrazioni di massa, legate alle rivoluzioni dei trasporti, iniziano alla metà dell'Ottocento. E già Pio XII lanciò messaggi molto chiari e radicali sull'emigrazione. Francesco ha mostrato una grande, appassionata e intransigente solidarietà con i destini di chi è migrante o profugo, ma perché è un tema della Chiesa. Ed è un tema della Chiesa perché è un tema evangelico: "Ero straniero e mi avete accolto"».
[ Paolo Pegoraro ]