Comunità di Sant'Egidio. A Palazzo Migliori a Roma 40 posti letto per i poveri. Emilia ricorda l'incontro con il Papa: era un amico per me
«Signora, la bellezza guarisce!». Papa Francesco lo disse rivolgendosi a una responsabile della Comunità di Sant'Egidio, il giorno dell'inaugurazione di Palazzo Migliori, l'edificio nobiliare che Bergoglio volle destinare a ricovero notturno per i poveri. Un palazzo magnifico, ancora affrescato, con il soffitto a cassettoni, con delle terrazze che si rincorrono in geometrie verticali, come solo a Roma se ne vedono, a regalare scorci indimenticabili del colonnato del Bernini, in piazza San Pietro.
E su questa scommessa del Papa, su questo dono di bellezza così squisitamente sproporzionato (scriveva Charles de Foucauld, uno dei riferimenti di Papa Francesco nella «Fratelli tutti»: «Possono esserci degli eccessi in tutto, eccetto nell'amore in cui non si saprebbe mai eccedere») si è avviata la sfida della Comunità di Sant'Egidio, incaricata di allestire il dormitorio nel palazzo restaurato, con l'ausilio dell'elemosiniere apostolico, il Cardinale Konrad Krajewski. Ogni sera una decina di volontari si alternano nell'accoglienza: non si tratta solo di dare un letto e un pasto caldo, ma di assicurare una parola di conforto, un gesto di amicizia, uno sguardo non giudicante rispetto a vite alla deriva che si incrociano all'ombra del Gianicolo.
Uscire dalla strada
Il palazzo può ospitare 40 posti letto, e dal 2019 ad oggi ha visto passare circa 200 persone. Molte di loro oggi sono riuscite ad uscire dalla strada, hanno preso altri percorsi. Altre sono ancora in cammino. Ma la speranza nel cambiamento rimane la luce che illumina le stanze di questo posto straordinario, dove c'è anche una cappella per pregare, dedicata a San Giorgio e dove nel refettorio che ospitò il Papa il giorno dell'inaugurazione si imbandiscono tavolate dal sapore familiare.
Abbiamo il tempo di visitare i locali, accompagnati dai volontari, qualche minuto prima che gli ospiti si presentino per la cena. Nelle stanze, letti rifatti, le sacche e pochi effetti personali. Tracce di vite affaticate. Dalle finestre, intervallati dalle colonne, gli ultimi fedeli che sfilano sul sagrato di San Pietro dopo aver salutato per l'ultima volta il Papa.
Toccare le mani delle persone
«Qui cerchiamo di toccare la mani delle persone che vengono a chiedere aiuto, le guardiamo negli occhi» dicono i volontari, citando un'altra frase di Papa Francesco, quando invitava a diffidare da una carità che non si sporca le mani. Su uno dei terrazzi, seduta a godersi l'ultimo scampolo di sole primaverile, dopo una giornata trascorsa nelle strade della capitale, incontriamo Emilia, un volto solcato dalle rughe a incorniciare due occhi azzurri intensi e brillanti. «Io ho conosciuto il Papa - ci dice -. Camminavo per conto mio quando l'ho visto, pochi giorni fa. Mi sono avvicinata e gli ho detto "Sua Santità!". E lui mi ha detto: "No, tu sei santa, Emilia". Mi ha fatto venire i brividi. Non è stata l'unica volta che l'ho visto. Mi ha colpito anche il fatto che mi chiamasse per nome. Il Papa era un amico per me».
Una scena così singolare
Emilia lo ripete tante volte: «Tu sei santa, Emilia», come se quella scena così singolare eppure non diversa da tanti altri gesti a cui ci ha abituato Papa Francesco in questi anni, fosse come una medicina, un farmaco lenitivo per dolori profondi e insondabili. E a noi piace immaginare che Francesco ed Emilia si siano incontrati per davvero, da qualche parte sotto il colonnato, tra gli ultimi, dove il Papa venuto dalla fine del mondo amava posare lo sguardo.
[ Paolo Doni ]